

Il ricordo del caporedattore di Quilivorno.it, Giacomo Niccolini- "Ciao Esimio, non dimenticherò mai i tuoi "non va bene, riscrivi".
"Ti alzi la mattina e vieni a sapere da facebook che non ci sei più, quello strumento che quando iniziai con te, manco c'era. Lo ha scritto un tuo grande amico e collega Francesco Foresi. Insieme a lui siete stati i primi ad aprirmi le porte della redazione di via Marradi de "La Nazione". Ero poco più che un bambino. Diciotto anni. La maturità alle porte. E i primi pezzi che ti portavo a mano o scritti a macchina oppure su di un rudimentale floppy disk che inserivi bofonchiando, quasi come se ti dessi noia, leggevi e cancellavi. "Riscrivi". Mi dicevi. Senza aggiungere una parola. Non capivo. Non volevo capire. Se ti chiedevo il motivo mi dicevi: "Riscrivilo e basta. Non va bene". Me ne tornavo nella stanzetta dedicata a noi giovani collaboratori e con le lacrime agli occhi e rabbia adolescenziale riscrivevo. Chiedevo consiglio ai colleghi ormai già rodati come Alessandro Farulli o Marco Mori. Qualche dritta, qualche correzione e poi via. Ti riportavo in punta di piedi il pezzo. Con timore. Te con il tuo sigaro in bocca mi parevi quasi una "montagna da scalare". Per tutti eri "l'Esimio". Per me eri il signor Gremigni anche se mi dicevi di chiamarti Lorenzo, ma non mi riusciva. Masticavi quelle righe scritte sbilenche e poi ancora, quasi che parlasse il tuo sigaro obliquo dal lato sinistro della bocca: "Non ci siamo. Riscrivi". In media un mio pezzo ti "toccava" vederlo tre volte. Alla fine passava. E io avevo sudato sette camice per venti righe. Ma è così che ho imparato. Così che ho capito che la superficialità non fa parte di questo mestiere, che l'approssimazione non stava di casa nella tua redazione. Eri l'Esimio, un motivo ci doveva essere. Con il tempo le volte che mi facevi "riscrivere" diminuirono fino a che il pezzo passava alla prima. "O sono diventato bravo io, o sta invecchiando lui", mi dicevo. Ma lui non invecchiava mai. I miti non invecchiano. Diventano sempre più grandi. E te lo eri.
Arrivò poi il giorno forse più bello della mia carriera di giornalista sportivo. Il Basket Livorno giocava la sera contro Varese, mi ricordo. Era novembre del 2007 mi sembra. Te non potevi venire al palazzetto e così mi chiedesti: "Te la senti di fare il pezzo per la Gazzetta al posto mio?". Lo feci. Feci un pezzo tutto cuore poca tecnica. Forse me lo avresti fatto riscrivere. Attaccai con "Livorno come gli spartani alle Termopili..." una cosa così. Poche righe e il mio nome, al posto del tuo, in calce al trafiletto sulla rosea. Non mi dicesti mai niente se non grazie per averti sostituito. Per me eri come un babbo, uno di quei padri che non ti dicono mai "ti voglio bene" ma in fondo te ne vogliono e sono orgogliosi di te, senza dirti mai una parola.
Non hai mollato mai, anche quando ormai ero diventato un "ometto" e non scrivevo più per te, mi incontravi e mi dicevi: "Ti leggo sai. Stai facendo un buon lavoro". Alla fine eri te che mi mandavi i pezzi per Quilivorno.it raccontandomi del tuo Panathlon di cui andavi orgoglioso e fiero. La vita è un circolo. Ricevere in posta elettronica i tuoi articoli mi faceva un po' effetto. Tu il mio primo maestro. Fino alla fine in prima linea. Neanche un mese fa in tribuna stampa al PalaMacchia a raccontare i playoff tra la "tua" Libertas e la Pielle che hanno riportato al Palazzetto 4mila persone.
Quel sigaro non c'era più da un po' a causa di qualche acciacco lo avevi messo in cantina. Io non ce la faccio a mettere il tuo ricordo là sotto. E ogni volta che scrivo sento ancora la tua voce che mi dice "riscrivi". E sorrido, ringraziandoti. Ciao Esimo, ti porterò sempre con me".
Giacomo Niccolini
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